Senza titolo

È morta in silenzio, lontana dal clamore involontariamente suscitato dalla sua storia, la donna che aveva rifiutato l’amputazione di un piede in cancrena, pur sapendo che questo le sarebbe costato la vita. Fra pochi giorni la vicenda della signora Maria sarà  dimenticata.
Eppure una domanda resta a interrogarci, dopo l’assordante rumore mediatico scoppiato attorno a questa sessantenne malata di diabete, che per sue ragioni a molti di noi non comprensibili, e ancor meno probabilmente condivisibili, aveva tuttavia fermamente deciso, nella pienezza delle sue facoltà  mentali, di non volere essere curata. Scelta da contrastare con ogni argomento, scelta drammatica – scelta, tuttavia, inviolabile.
La domanda, il dubbio, è questo. Perchè la battaglia per l’eutanasia, e non solo di malati terminali ma anche di soggetti in stati neurovegetativi o, come è accaduto recentemente in Francia, con gravi handicap permanenti, incontra tanto e crescente favore nell’opinione pubblica occidentale, e invece la vicenda di una malata che non chieda niente, ma soltanto pretenda di essere lasciata andare verso il suo destino, desta tanto sgomento? Perchè tanti appelli, e lettere di gente sui giornali che accorate e commosse cercano di chiamare indietro la sconosciuta dalla sua decisione?
Non che in questo, intendiamoci, ci sia nulla di male, anzi, pure nel clamore un po’ falso che tutto assume nella grancassa di tv e titoli cubitali, quell’interesse testimonia comunque una passione umana per la sorte della malata. Ma, e questo è il punto, perché solo per lei, in passiva attesa di un destino che comunque le appartiene, e non per gli altri, per quelli che la morte pretendono sia loro attivamente data? Pietà  per il dolore fisico? Il dolore fisico, dicono gli esperti di medicina palliativa, è ormai sedabile nella quasi totalità  dei casi. Se condo una ricerca di tre anni fa nel Reparto cure palliative dell’Istituto dei Tumori di Milano, su migliaia di casi c’era stata solo una richiesta di eutanasia. Lo spettro del dolore fisico è usato come grimaldello per convincere chi non sa della bontà  della battaglia per il "diritto alla morte". Al fondo, la questione è ideologica, e infatti non si vedono cortei per l’eutanasia sfilare davanti ai reparti di oncologia. Là  dentro, si ha voglia di vivere.
L’intento effettivo è appropriarsi, disporre della morte. Poichè non si può eliminarla, governarne almeno il modo, e il tempo. Non dipenderne, ma farla dipendere da noi. Non essere, nemmeno in quel momento, creature, ma anche in quel momento padroni.
Allora l’inconscio smarrimento, la corale protesta per la scelta della signora Maria acquista un significato diverso dalla pura compassione. Questa donna – per suoi motivi che non condividiamo, giacchè dopo l’amputazione la sua vita avrebbe avuto lo stesso immenso valore per lei e per chi le era vicino – comunque decide di stare ad aspettare la morte. Di lasciarla fare. Forse proprio questo turba, e solleva tanti appelli diretti a una sconosciuta, una strana emozione collettiva nella stessa Italia in cui i vecchi vicini di casa muoiono, e li si trova un mese dopo. Quella scandalosa scelta di la morte, invece che di pretendere di governarla, di metterci sopra le mani. Le mani sulla morte, come sull’inizio della vita, la parallela invasiva pretesa dell’oggi. Padroni sempre, creature mai.

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