Senza titolo

"La libertà  di scelta è stata giustamente rispettata" dichiara il ministro Sirchia alla notizia della scomparsa di Maria, nome fittizio della donna che rifiutò di farsi curare il piede andato in cancrena in un ospedale di Milano e che sollevò un caso clamoroso sul diritto del malato e sul dovere del medico. Onore alla signora Maria, dicono, che è morta protetta dalla sua famiglia in un paesino misterioso vicino a Porto Empedocle, Agrigento. La signora si è spenta in silenzio l’11 febbraio lontano dai clamori mediatici, coerente a se stessa e al suo desiderio di rinunciare alla vita pur di salvare il suo piede destro dal bisturi del chirurgo. Ma è proprio andata così? La morte annunciata di Maria viene accolta con sollievo da chi sosteneva allora, quando il caso scoppiò alla fine di gennaio, il diritto alla libertà  individuale. Intervenire a forza sulla signora "in grado di intendere e volere" sarebbe stata una violenza, un reato. Il ministro esulta per il trionfo di questa forma speciale ed estrema di liberismo, applicato al proprio corpo, lo stato, i medici, le istituzioni stiano alla larga dal potenziale suicida (e per coerenza Sirchia dovrebbe legiferare a favore dell’eutanasia). Ma. La signora Maria voleva davvero morire? Il direttore sanitario dell’ospedale San Paolo di Milano Danilo Gariboldi dice che no "la signora non ha mai detto che non accettava di vivere senza una gamba". Maria era convinta di vivere rinunciando alle cure, sicura di "trovare la forza per guarire in se stessa, attraverso le sue energie". E dopo aver lasciato l’ospedale il 29 gennaio ha fatto perdere le sue tracce. "Non ci hanno più contattato" informa il medico. I suoi famigliari – di cui si sottolinea continuamente la "riservatezza" – la riportano in Sicilia e tagliano i ponti con il resto del mondo. Parlando di loro si fa riferimento a una "concezione parafilosofica della vita" e a una "esistenza dai tratti particolari".

I parenti di Maria infatti non cercano di convincerla a farsi curare. Mentre al contrario una moltitudine di persone si attiva per farle cambiare idea, le inviano centinaia di fax, e-mail, poesie e pensieri di solidarietà . Qualcuno le fa sapere che per esperienza diretta senza una gamba la felicità  è ancora possibile, e la invita a tornare sulla sua decisione. Una comunità  umana di anonimi condivide la sua pena, le si stringe idealmente intorno. Fino a che Maria sparisce, "sequestrata" dalla protettiva comunità -famiglia.

Con quale diritto ci hanno impedito di interloquire con lei fino all’ultimo? La privacy parentale, la "riservatezza" ha fatto scudo, eretto un muro, espulso dal suo campo visivo i nostri impulsi di compassione. è questa odiosa concezione dell’individualismo non democratico che viene oggi celebrato, l’idea che Maria appartenga alla sua famiglia, alla sua comunità  religiosa, alla sua setta. E non veramente a se stessa e a noi, comunità  umana, decisa a contrastare la sua illusione di appartenere a un’altra sfera dell’esistente, di credere in altre fonti di energie che non siano le nostre, fragili e imperfette. Non avremmo tolto a Maria l’ultima parola ma ci sarebbe piaciuto dirle un’ultima parola.

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